Amministrazione Trasparente: I dati personali pubblicati sono riutilizzabili solo alle condizioni previste dalla direttiva comunitaria 2003/98/CE e dal d.lgs. 36/2006
A proposito di questa strada, che va da Via Vinegia a Borgo dei Greci, occorre precisare che, oltre che come Via del Parlagio, è nota anche come via del Parlascio: così il celebre Pratolini nel romanzo Cronache di Poveri Amanti: “Sembra faccia del tutto per assomigliare al vecchio Nesi» ha detto Maria a suo marito voltando l'angolo del Parlascio". Il nome trova la sua origine nel termine latino “peralisium”, che stava ad indicare l’adiacente anfiteatro, sito tra piazza Peruzzi, via Bentaccordi e Via Tòrta, il cui marcato andamento curvilineo ne testimonia l’antica esistenza. Nel Trecento “peralisium” venne storpiato in “parlascio” e stette ad indicare il luogo dove si riuniva la gente a “fare parlamento”, “parlare sciolto”, insomma a “parlare a agio”…. da cui “Parlagio”. Da notare, come testimonia l’epigrafe sotto la lapide toponomastica, che la via era prima denominata “Via delle Serve Smarrite”. Si pensa che le serve di cui si fa menzione fossero o donne di campagna venute a Firenze per cercar lavoro presso le famiglie ricche (chiamate "smarrite" perché, appena giunte, erano in ricerca di una sistemazione), oppure che si trattasse di donne che avevano smarrito il posto di lavoro: in entrambi i casi la via del Parlagio o Parlascio del Trecento ci appare come una sorta di "ufficio di collocamento", con la funzione specifica di trovare lavoro alle domestiche, o “serve smarrite” che dir si voglia.
Da Piazza Santa Croce a via dei Pilastri. Prende il nome dalla famiglia Pepi, che, secondo la tradizione, proveniente da Cipro aveva portato il pepe alla Firenze medievale, e fu grazie al commercio di questa spezia, oltre che di altre, che la famiglia accrebbe la sua fortuna e poté costruire le proprie dimore nella zona di San Remigio, tra cui spiccava quale palazzo più bello quello posto appunto in via dei Pepi, precisamente al numero 6 (il palazzo fu acquistato nel XVII secolo dai Betti Berlinghieri).
Nel tratto di Via dei Pepi vicino a via Ghibellina si trova un tabernacolo con la Sacra Famiglia e san Giovannino, che aveva alla base una scomparsa lapide di marmo che ricordava un'indulgenza concessa da papa Giovanni XXII: “Gesù mio misericordia, baciando la santissima Croce posta in qualsiasi luogo per concessione di Papa Giovanni XXII l’anno MCCCXVII e di Papa Clemente VI si acquista per ogni volta un annno e quaranta giorni di indulgenza. Laus Deo”.
L'affresco era stato restaurato nel 1963 eliminando gran parte delle ridipinture e riscoprendo buona parte del disegno originario, ma fu presto danneggiato gravemente dall'alluvione nel 1966. La scomparsa della lapide è relativamente recente, essendo ancora presente in un censimento del 1987. Per volontà di Maria Luisa Pepi, nel 2011 il tabernacolo è stato restaurato in collaborazione con gli Amici dei Musei Fiorentini in onore della sua antica famiglia.
In angolo con via dei Pilastri, si trova una moderna rappresentazione di San Giorgio e il drago, collocata a fine anni ottanta, al posto di un originario tabernacolo che mostrava Maria bambina con sant'Anna, tra i santi Francesco e Domenico ed era affiancato da uno stemma con la colomba dello Spirito Santo e uno con un puttino in fasce dello Spedale degli Innocenti; i suoi resti furono coperti nel XX secolo da un'opera del pittore Angelo La Naia, danneggiata dall'alluvione e mai più ricollocata.
Poco distante da piazza della Signoria, vi si accede da Via Dante Alighieri e da Via dei Magazzini. La piazza è dedicata a San Martino vescovo di Tour dal 371 e fondatore della vita monastica in Francia, alla cui memoria Firenze aveva intitolato una chiesa, poco distante dall’attuale e di cui restano solo alcune vestigia, già nel 986, quella stessa peraltro dove la tradizione vuole che Dante abbia sposato Gemma Donati. L’attuale chiesa di San Martino, posta nell’omonima piazza, venne innalzata nella seconda metà del XV secolo e divenne la sede della compagnia Buononimi (non a caso si dice “essere un buonuomo”), che era stata fondata da Sant’Antonino, vescovo di Firenze, per aiutare le famiglie bisognose. Ancora oggi, accanto alla porta d’ingresso, si può notare una cassettina con la scritta limosine per li poveri verghognosi, ovvero per quelle persone che si vergognavano ad elemosinare apertamente, magari di fronte ad una chiesa o per le strade. La particolarità della cassetta era che, qualora vuota, i monaci accendevano un cero o una candela davanti alla soprastante immagine di S. Martino per segnalare che c’era bisogno di nuove offerte: da qui il detto essere ridotti al lumicino, per indicare l'essere caduti in miseria …Continuate a seguirci, la prossima volta parleremo della Torre della Castagna…
Sulla Piazzetta San Martino si affaccia l’antica (la sua costruzione risale agli inizi dell’XI secolo) ed elegante Torre della Castagna, detta anche Bocca di ferro. Durante il Medioevo i Priori delle Arti si riunivano al suo interno per deliberare sui casi più complicati inerenti le loro corporazioni di lavoro… come testimonia Dino Compagni « E chiamoronsi Priori dell'Arti: e stettono rinchiusi nella torre della Castagna appresso alla Badia, acciò non temessono le minacce de' potenti » (Cronica delle cose occorrenti ne' tempi suoi). La torre fu chiamata “della Castagna” dalla modalità con cui si effettuavano le votazioni, per le quali vigeva la regola secondo cui il Priore che intendeva esprimere voto positivo inserisse nel sacchetto una castagna. Poiché, com’è noto, a Firenze le castagne sono dette anche “ballotte”, è ben facile capire l’origine del termine politico “ballottaggio” (votazione tra due candidati o tra due mozioni).
La strada, che unisce Via dell’Oriuolo con Piazza Santa Maria Nuova, prende il nome dal padre di Beatrice, musa ispiratrice di Dante. Morto nel 1298, Folco fu un abbiente mercante, ricco a tal punto da sentirsi in dovere di ottenere il perdono dal “Cielo” per il tanto denaro posseduto: fu così che Monna Tessa, la governante di famiglia, lo convinse ad espiare il proprio peccato fondando un ospedale e a dar vita alla comunità delle religiose infermiere dette suore Oblate. Acquistato a poco prezzo un terreno, per motivi di pubblica igiene, appena fuori le mura (extra moenia), che all’epoca correvano lungo la via Sant’ Egidio, Folco dette inizio nel 1295 alla costruzione dell’ospedale dedicato a Santa Maria, cui fu aggiunto il termine “Nuova’ per differenziarlo dalla chiesa di Santa Maria in Campo, sotto il cui popolo esso era compreso. L’ospedale, che ai nostri giorni vanta il primato di essere il più antico del mondo, era originariamente situato in via Portinari, all’epoca denominata via delle Pappe (dalla minestra che, non consumata dai ricoverati, era lì distribuita ai poveri), sul lato destro della strada provenendo da Oriuolo, come ricordato da alcune lapidi. Quando, a partire dagli inizi del ‘300, l’ospedale fu ampliato e trasferito nell’omonima piazza, la sua sede originaria divenne la sede del Convento delle Oblate, che continuarono ad avere cura degli infermi fino al 1936, quando furono trasferite a Careggi e la struttura fu acquisita dal Comune di Firenze (ora sede dell’omonima biblioteca).
VIA DEI LEONI, da Piazza San Firenze a Via della Ninna, posta in corrispondenza con la facciata posteriore di Palazzo Vecchio, è così chiamata in quanto la Repubblica fiorentina, a partire dal Trecento e per molto tempo ancora, ospitò dei leoni vivi, rinchiusi alle spalle di Palazzo Vecchio, in via dei Leoni appunto. La grande gabbia in cui essi erano custoditi fu smantellata al momento in cui il Vasari, su volere di Cosimo il Vecchio, procedette ad un ampliamento dell’area circostante il Palazzo, in previsione del rinnovamento del quartiere, al quale si voleva conferire un aspetto di maggiore eleganza, progettando la costruzione degli Uffizi. Mal si conciliava pertanto con questa ricerca di nuova signorilità, la “selvaggia” presenza dei possenti leoni, e fu così che essi, con la loro capiente gabbia, furono spostati in Piazza San Marco, laddove ha ora sede l’Università di Firenze. Un’ultima nota: del leone, simbolo di Firenze fin dall’anno Mille, si hanno numerose rappresentazioni, tra cui, la più nota, il celebre Marzocco di Donatello, che con la zampa destra regge il giglio di Firenze; l’opera, in pietra serena, ora conservata al Bargello, era originariamente posta in Piazza della Signoria, dove ora resta una copia, proprio davanti al Palazzo
Piazza delle Pallottole. Situata di fianco all’abside di S. Maria del Fiore, a seguito dell’ampliamento di piazza del Duomo, ai primi del 1400, ha visto di molto diminuire la sua ampiezza. Il nome deriva dal termine “pallottole”, con cui nel ‘300 si indicavano le bocce, e nella Firenze medievale il gioco delle bocce era uno dei più amati e diffusi. Poiché il gioco era praticato liberamente nelle strade e nelle piazze, soprattutto a causa degli schiamazzi notturni e delle frequenti risse che ne derivavano, fu necessario prendere provvedimenti. Fu così che, i Signori Otto di Guardia e Balìa (importante magistratura, costituita da otto cittadini, che legiferava su varie questioni compresa la sicurezza della città), in un primo momento affissero bandi vicino a chiese ed edifici di pubblico interesse che imponevano “il divieto di giuoco di palla et pallottole”, arrivando infine ad adibire un luogo destinato esclusivamente al gioco delle bocce: Piazza delle Pallottole appunto.
La strada dei palazzi signorili; tra Palazzo Vecchio e Santa Croce troviamo questa piccola via i cui tanti palazzi sono appartenuti alle famiglie più influenti della città. Passeggiando su queste vecchie pietre, un po' appartati dal caos delle arterie principali del centro, si respira un concentrato della Firenze che ha fatto la storia della Signoria, dalla famiglia Rustici, ai Peruzzi, cui è dedicata la piazza attigua.
Il nome della strada racconta di un evento importante nella storia di Firenze. Il Granducato dei Lorena si conclude proprio quel giorno, il 27 aprile 1859. Mentre la città è percorsa da manifestazioni di piazza, una carrozza lascia Palazzo Pitti e attraversa Firenze in direzione nord, verso via Bolognese. A bordo siede il granduca Leopoldo II di Lorena al cui passaggio molti cittadini si tolgono il cappello in segno di saluto. Alle sei del pomeriggio di quello stesso giorno il Municipio di Firenze prende atto dell’allontanamento del sovrano e nomina un governo provvisorio Si conclude così una storia dinastica iniziatasi circa 120 anni prima, nel 1737, alla morte del granduca Gian Gastone, con l’estinzione della casata Medici e il passaggio della Toscana ai Lorena, in seguito ai nuovi equilibri politici che si erano venuti delineando.
Via della Ninna. O forse dovremmo dire “della Ninna Nanna”? In questa bella strada che, allora come adesso, divide Palazzo Vecchio dal Palazzo della Cancelleria (odierni Uffizi), in passato, si trovava la Chiesa di San Pietro Scheraggio che ospitava una Madonna col Bambino del Cimabue e che, per la particolare posizione supina del bambinello, era detta dai fiorentini “Madonna della Ninna Nanna”. L'opera era molto apprezzata e conosciuta da tutti e così il passo dal dipinto alla via fu breve. Oggi, che la chiesa è stata inglobata dagli Uffizi e che i ricordi di questa storia si sono un po' persi per strada, è grazie alla straordinaria ricchezza della memoria popolare se possiamo ancora rammentare l'origine di questo toponimo.
Via della Vigna Vecchia. Strada caratteristica del rione Santa Croce, meta quotidiana, oltre che dei fiorentini, anche dei tanti turisti che da piazza della Signoria si muovono alla scoperta della città. Il toponimo è di origine antichissima; qui, già da prima della costruzione delle mura arnolfiane, dove la campagna faceva ancora capolino tra le case, si trovava la vigna dei monaci della Badia Fiorentina. “Vecchia” fu chiamata per distinguerla da quella dei religiosi di San Pancrazio, che era detta, appunto, “vigna nuova”.
Il toponimo è curioso e anche molto antico, ma non ci aiuta a capire cos’erano queste “burelle”, una volta così tipiche di questa zona e oggi scomparse. Qui, quando “Florentia” era ancora un “castrum” romano, sorgeva l’anfiteatro che, oltre ai consueti combattimenti tra gladiatori, proponeva anche spettacoli con i tanti animali feroci che erano alloggiati in piccole grotte o cunicoli, le burelle. Questi antri, che stavano appena sotto il suolo calpestato, sopravvissero alla distruzione dell’anfiteatro e ancora nel XIII secolo furono utilizzati per detenere temporaneamente i prigionieri della battaglia di Campaldino (combattuta tra Guelfi e Ghibellini nel 1289), oltre a essere normale luogo di lavoro per molte prostitute.
Chi erano le pinzochere? Erano le donne che indossavano il cosiddetto “pinzo”, cioè un abito di tessuto grezzo simile al saio e che conducevano vita monastica senza però aver preso i voti. Potevano vivere in ambiente laico e partecipare però alla vita clericale; commistione che spesso aveva sollevato dubbi e dicerie sulla moralità dei rapporti con i vari ordini maschili, in particolar modo tra le pinzochere di Sant’Elisabetta del Capitolo e i frati di Santa Croce. Le pinzochere potevano essere prostitute che avevano voluto cambiar vita, vedove, donne “malmaritate” (sposate a uomini che non potevano mantenerle) o zitelle; da qui il termine tutto fiorentino di “pinza”, che, fino a non molto tempo fa, indicava una donna che non aveva trovato marito.
Via di San Leonardo. Senza dubbio una delle strade più affascinanti della città; perfetta per una passeggiata in ogni stagione dell’anno, con il tortuoso incedere protetto dai caratteristici muretti, i tanti alberi affacciati a incorniciare i preziosi scorci di collina fiorentina. Il nome ha origini molto antiche, così come molto antica è la piccola chiesa di San Leonardo da cui deriva; questa è la via che Ottone Rosai ha immortalato nei suoi dipinti e dove Ciajkovskij compose la famosa opera “La donna di picche”.
Via del Canneto. I vicoli hanno sempre il loro fascino e a Firenze ce l’hanno in un modo tutto particolare, soprattutto se fanno della tranquillità la loro caratteristica principale e dell’essere senza tempo la loro vocazione. Una volta qui c’era il greto dell’Arno, da dove, lavandaie, renaioli, funaioli e gli altri del popolo del fiume, si recavano, costeggiando i tanti canneti, alle mansioni giornaliere, tra chiacchiere e brusii che rallegravano l’aria.
In questa strada, che porta questo nome fin dal XIV secolo e che si apre come una sublime finestra sul nostro Duomo, è nata la prima università fiorentina. Lo “Studio Fiorentino”, che occupava il palazzo dove oggi troviamo un rinomato negozio d'arte, esisteva già dal 1321, ma fu elevato a rango di università, da papa Clemente VI, solo nel 1348. Lo Studio fu un vero polo educativo versatile e completo, dove, sotto la guida di grandi insegnanti come il Boccaccio, si imparavano lettere, scienze, legge e teologia.
Via della Mosca. Non trovate curioso questo toponimo? Perché intestare una strada a un insetto, che, notoriamente, è associato alla scarsa condizione igienica e alla dubbia capacità di essere noioso, appunto, “come una mosca”? Forse perché vi si trovava un’osteria con questo nome? Ma quale oste lo avrebbe usato per caratterizzare il suo locale? Forse perché qui vi abitava una famiglia con questo nome o forse perché le condizioni di questo vicolo, nei secoli passati non erano delle più salubri e i fastidiosi imenotteri pullulavano? Se vi aspettate una risposta da noi, ebbene, non l’abbiamo! Ma forse qualcuno di voi si!
Via di Costa Scarpuccia. Tutta questa zona d’Oltrarno è conosciuta, dai fiorentini più “datati”, con il nomignolo di “costa”, ma la nostra strada deve il nome alla forte pendenza, tanto ripida da assomigliare a una scarpata, ma di breve lunghezza e quindi a una “scarpuccia”. Per godere della bellezza di questa collina si deve faticare un po’, ma lo sforzo sarà ampiamente ripagato!
Via dei Bardi. Una delle strade più antiche di Oltrarno, così chiamata in onore della famiglia dei Bardi che qui aveva torri, case e palazzi. Influenti e ricchissimi fiorentini che da mercanti si fecero banchieri e che dopo aver prestato soldi a mezze corti europee si ridussero quasi in povertà; perché i reali erano più bravi a rendere onori piuttosto che gli interessi. Ma non tutti sanno che in origine questa via si chiamava “borgo pidiglioso”, perché vi abitava la popolazione più povera e umile della città. Che la strada abbia voluto riappropriarsi della sua vocazione storica?
Via del Monte alle Croci. Antica via che dalle mura conduce alle chiese collinari, San Miniato al Monte e San Salvatore al Monte, quest’ultima la preferita di Michelangelo, che l’aveva soprannominata “la bella villanella”. Il nome della strada si può ricondurre alle tante croci che in passato incorniciavano il suo cammino.
No, non è una strada in cui trovare tesori o aspettarsi un incontro con vecchi cercatori d’oro dell’Ottocento, anche se con il prezioso metallo ha comunque molto da spartire! L’origine del toponimo è antico e duplice: sembra che il vecchio nome fosse “via Gomito dell’Oro” e, vista la forma che ricorda quella di un braccio piegato e il fatto che qui avessero sede varie botteghe di orafi, il nome è presto fatto! Ma perché “gomitolo”? Qui le certezze si fanno più esigue, c’è chi dice che è la storpiatura di gomito e chi sostiene che i fili d’oro erano avvolti in gomitoli.
Stufa? Forse trattasi di signora ormai stanca dell’ignavia del marito? Possiamo dire di no! In quest’antica strada, semplicemente, si trovavano le “stufe”, in altre parole, quei posti in cui si poteva, dietro compenso, fare i bagni caldi. Si trattava di una sorta di bagno turco o di terme romane in chiave fiorentina; luoghi dove s’incontrava mezza città, dediti, nonostante il luogo richiedesse un po’ di privacy, alla coltivazione dei rapporti sociali e, spesso, con strategico postribolo annesso. In particolar modo qui si trovava la stufa detta di “San Lorenzo” di proprietà della famiglia dei Lotteringhi.
Toponimo molto antico. Qui risiedeva la ricca famiglia Gaddi, il cui palazzo era circondato da un grande giardino; i Gaddi, amanti delle piante, avevano abbellito il proprio spazio verde con tantissime varietà botaniche, tra cui molte piante di arancio (melarancio). Poiché, ai quei tempi, il melarancio non era molto comune, anzi, era considerato specie esotica perché da poco importata in Europa dall’Asia, i fiorentini ne rimasero particolarmente colpiti, tanto da intitolargli prima il giardino e poi la strada.
Lo sappiamo, tanto traffico, colonne interminabili di turisti, rumore e smog; forse non tutti la metterebbero ai primi posti della propria lista delle strade preferite, eppure è una delle più antiche per denominazione e costruzione. Qui aveva case e palazzi la famiglia Cerretani, importante casata fiorentina dal XIII al XVII secolo, chiamata così perché proveniente da Cerreto Maggiore (zona Monte Morello). E comunque è sempre un piacere osservare la bellezza semplice e minimalista di Santa Maria Maggiore e, se facciamo uno sforzo per dimenticare il contesto di contorno, quello scorcio sul Duomo, non è poi così male, o no?
Piccola strada del rione di San Lorenzo, dove l’appellativo di “borgo” dà un’idea della sua antichità. Probabilmente, nel XII secolo, terminava con una porta esterna alle mura e il nome pare derivi dalla presenza di molti alberi di noci. Infatti, ai quei tempi, appena usciti da una porta cittadina, si era già in aperta campagna.
Strada molto antica dal toponimo incerto; i vari storici si sono, infatti, sbizzarriti in tutte le varianti possibili nel tentativo di accreditargli un’origine certa, ma senza grossi risultati. C’è chi sostiene una derivazione dalla famiglia Del Giglio o Gigli, chi replica con la presenza di giardino ricco del fiore simbolo cittadino e chi suggerisce un legame con una presunta effige a forma di giglio (su chiesa, palazzo?). Il mistero resta, così come questa via del rione San Lorenzo e la sua bella vista sulle Cappelle Medicee. L'immagine può contenere: persone che camminano, cielo e spazio all'aperto
Anticamente era divisa in due e aveva due nomi differenti, "via dello Sprone" e "via degli Albertinelli" ed era una starda ancora più buia e stretta di come oggi si presenta. Venne allargata ai tempi di Firenze Capitale, quando nello spazio occupato dal Giardino dei Pazzi sorse, nel 1869, il Palazzo della Banca d'Italia costruito dall'architetto Antonio Cipolla di Roma. Abolite le diverse denominazioni, la strada prese il nome di "Via dell'Oriuolo" per ricordare che in una delle case che si affaciava sulla strada fu fabbricato l'orologio posto sulla torre di Palazzo Vecchio, il 15 Marzo del 1352 (peccato non sapere a che ora).
Il nome è molto antico e risale al 1296, quando la Repubblica fiorentina decise di costruire un carcere, circondato da muraglioni rozzi e senza nessuna finestra sulla vie circostanti. Tra questi e le singole prigioni c'erano delle stradelle e, a causa dell'isolamento in cui si trovava il carcere, venne chiamato "Isola". I primi prigionieri che vi furono reclusi furono quelli che le milizie fiorentine avevano fatto espugnando e soggiogando il Castello dei Cavalcanti in Val di Greve delle "Stinche". Da qui il nome della strada. Verso la metà del Diciannovesimo secolo il carcere subì una radicale trasformazione, ridotto a uso di negozi e abitazioni.
Via dei Magazzini. Una delle tante viuzze del centro storico, di passaggio, ma molto meno considerata rispetto alle sorelle più famose, eppure, con una storia interessante. Fino al XVI secolo si chiamava con un curioso, ma non troppo originale, “via dietro la Badia”, dove per badia s’intendeva naturalmente la vicina chiesa della Badia Fiorentina. In questa strada si trovava il convento che serviva proprio la badia, nei locali che, in tempo recente, sono stati sede della Pretura e adesso della nostra Direzione Urbanistica. Dal cortile dell’ex convento è ancora possibile osservare i resti dell’antica facciata, prima che Arnolfo di Cambio invertisse l’orientamento della chiesa. L’attuale nome è successivo al ‘500 e deriva dalla presenza dei tanti magazzini che furono al servizio dei vari mercati cittadini.